Nota stampa della Presidenza di IPPR su un provvedimento che può generare criticità inaspettate
Affrontare il tema del Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWR) è questione molto più complessa di quel che si è portati a pensare.
Il Regolamento trascina con sé implicazioni che sembrano non attirare l’attenzione che meriterebbero di avere. In particolare mi riferisco all’obbligo di produrre imballaggi incorporanti un “contenuto di riciclato” sancito e calato dall’alto che gli addetti ai lavori sanno bene essere possibile al 100% per taluni imballaggi e impossibile per altri. Obbligo che evidentemente, essendo stato definito senza una fondamentale valutazione di impatto sulla sua sostenibilità ambientale, economica e sociale, rischia di minare alle basi non solo l’industria della produzione di imballaggi ma l’intero mondo della trasformazione di materie plastiche.
Come si evidenzia da alcuni anni con gli studi qualitativi e quantitativi di IPPR sull’utilizzo di plastiche riciclate l’Italia, con oltre 1,2 mil ton/anno ha raggiunto il 20% (contro una media europea del 6%) dell’intero ammontare di materie plastiche per la produzione di nuovi prodotti, imballaggi e altri beni che trasversalmente servono a soddisfare la domanda di molteplici settori.
In particolare, la plastica da post consumo consente da quasi venti anni di soddisfare la richiesta dell’industria che chiede materiali riciclati per realizzare articoli per automobili, edilizia, arredo urbano e molto altro.
Per molto tempo, dopo l’istituzione della raccolta differenziata in Italia, abbiamo lavorato per cercare dei congrui sbocchi alle plastiche raccolte, selezionate e riciclate perché potessero avere una nuova vita dentro e fuori al mondo dell’imballaggio – dove non sempre è possibile o opportuno – per motivi tecnici e/o normativi – reimmettere riciclato -, ma anche soddisfare le richieste dei Criteri Ambientali Minimi del Ministero dell’Ambiente che chiede prodotti “sostenibili”.
Molti prodotti che oggi realizziamo solo grazie ai riciclati provenienti dal ciclo dei rifiuti degli imballaggi e che incorporano quote importanti di plastica riciclata potrebbero non essere presto più disponibili sul mercato.
Questi prodotti, genericamente beni durevoli, hanno garantito da una parte il riutilizzo di materia e dall’altra la possibilità di rispondere a esigenze di eco-progettazione per approvvigionare la Pubblica amministrazione e le catene distributive di prodotti con plastica seconda vita, cosa che a breve potrebbe non essere così scontata.
Il PPWR produrrà un duplice danno all’industria delle plastiche – l’Italia è la seconda manifattura in Europa – sia ai produttori di imballaggi che ai produttori di altri beni vanificando il lavoro di diffusione e incorporazione in nuovi prodotti delle plastiche riciclate portato avanti con l’impegno di tutti gli attori della filiera dalla fine degli anni 90 ad oggi.
IPPR, l’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo
nato per volontà di Unionplast, Plasticseurope Italia e Corepla, ha l’obiettivo di favorire l’incontro tra domanda e offerta nell’ambito delle plastiche da riciclo, sia tra aziende private sia tra aziende e Pubblica Amministrazione. Lo fa dal 2004, quando di economia circolare ancora non si parlava.
IPPR ha sviluppato un’expertise di assoluto livello in Italia e in Europa che le consente di certificare con il marchio “Plastica Seconda Vita” i materiali e i manufatti ottenuti dalla valorizzazione dei rifiuti plastici. Ad oggi sono poco meno di 8.000 i prodotti certificati da IPPR