Arco, Trentino, 1996: inizia l’avventura di Sartori Ambiente. Esattamente vent’anni fa, l’azienda guidata da Michele Sartori introduceva sul mercato italiano le sue compostiere, fatte quasi interamente di materiale plastico riciclato. Oggi l’azienda trentina, che ha chiuso il 2015 con un fatturato di gruppo di 12 milioni di euro, ha allargato il suo raggio d’azione. Grazie allo sviluppo della raccolta porta a porta, ha sviluppato contenitori per il conferimento dei rifiuti, realizzati però rispettando i criteri dell’economica circolare. “Perché la vera risorsa è ciò che non diventa mai rifiuto”, ci dice Luca Torresan, Sales Director di Sartori Ambiente.
“Le compostiere domestiche ci hanno aperto la strada verso i comuni. Le amministrazioni poi hanno iniziato a chiederci piccoli contenitori, necessari per trasportare i rifiuti organici dalle abitazioni alle compostiere”, spiega Torresan. Ma Sartori Ambiente non dialoga solo con enti pubblici: “Lavoriamo anche con le aziende private o private con partecipazioni pubbliche, che gestiscono la raccolta dei rifiuti“.
La richiesta della certificazione Plastica Seconda Vita è stata una scelta necessaria e naturale. “Avevamo bisogno di un marchio che certificasse quello che facevamo da sempre”, spiega Torresan. “Lavoriamo in 40 paesi nel mondo, oltre all’Italia, e in alcuni nostri mercati il certificato Plastica Seconda Vita viene molto apprezzato pur essendo italiano, perché si rifà a una direttiva europea”. Infatti le percentuali di riciclato certificate dal marchio, sono riportate nella circolare 4 agosto 2004, attuativa del DM 203/2003 sul Green Public Procurement, e alla norma UNI EN ISO 14021.
Dopo il boom delle compostiere, Sartori Ambiente ha registrato il successo dei contenitori per il porta a porta. Ad oggi il prodotto più venduto, certificato Plastica Seconda Vita, è il contenitore Urba Plus. “Con questi prodotti il certificato è servito a provare l’impiego sicuro di materiale riciclato impiegato nei contenitori”, spiega il direttore vendite di Sartori Ambiente. “Circa 15 anni fa, per costruire questi prodotti, si usava per lo più materiale vergine. Ora la tecnologia ci consente di creare contenitori migliori anche esteticamente”. Il polipropilene riciclato, usato per i contenitori da raccolta differenziata, è un materiale molto sensibile, difficile da adattare a prodotti di dimensioni ridotte, “ma oggi la tecnologia ce lo permette”, aggiunge Torresan. E il marchio Plastica Seconda Vita lo certifica.
Guardando al futuro, le sfide dell’economia circolare non preoccupano l’azienda trentina, tranne che per un elemento: la chiusura del cerchio. “Siamo in un momento in cui i vecchi cassonetti vengono dismessi. La sfida è riciclarli per produrre nuovi manufatti. Non sempre è possibile”. In più ci sono le sfide continue del mercato. “È una questione di prezzo. I prodotti Plastica Seconda Vita sono più economici rispetto a quelli in plastica vergine. Poi però è il mercato a cambiare le carte in tavola”, riflette Torresan. Infatti il prezzo del petrolio condiziona il prezzo delle materie prime, e a volte la plastica vergine arriva a costare meno di quella riciclata.
Tuttavia gli enti pubblici hanno bisogno dei prodotti Plastica Seconda Vita. Grazie all’introduzione dei CAM e del GPP, gli acquisti verdi diventano parte integrante della spesa pubblica locale. Secondo Torresan “una delle sfide per il GPP è definire i criteri che vanno al di là della quantità di plastica riciclata contenuta in un oggetto. Va individuata anche l’effettiva circolarità dei prodotti acquistati, compresa la resistenza, la manutenzione e la possibilità del riciclo a fine vita“.