Non siete riusciti a partecipare al convegno “I rifiuti marini: gestione e misure preventive per un mare più produttivo” tenutosi a Ecomondo e non avete seguito il live twitting o visitato l’album su Facebook? Ecco allora per voi un sintetico resoconto di quanto emerso in occasione dell’incontro tenutosi lo scorso 10 novembre.
IPPR, Legambiente ed Enea hanno presentato a Ecomondo i risultati di uno studio sulla riciclabilità dei rifiuti plastici presenti nei mari e nelle spiagge con l’obiettivo di analizzare, anche attraverso il coinvolgimento delle aziende di riciclo, la concreta fattibilità del recupero dei materiali.
Lo studio rappresenta una prima importante collaborazione tra istituti di ricerca, associazioni e imprese sulla caratterizzazione del beach litter presente sulle spiagge per poter poi sviluppare un piano di riciclo per questi materiali e capire, al contempo, come sensibilizzare consumatori e imprese a porre una maggiore attenzione nella loro gestione quotidiana dei rifiuti, rimuovendo abitudini errate: dai cotton fioc gettati nel WC ai rifiuti abbandonati direttamente sull’arenile, ai pellet di plastica per la pre-produzione industriale.
“Lo studio rappresenta solo il primo passo per affrontare il problema del beach litter – ha dichiarato Angelo Bonsignori, Presidente dell’IPPR e Direttore Generale della Federazione Gomma-Plastica -. Intendiamo anche promuovere una prima campagna di raccolta del beach litter in alcuni Comuni costieri in accordo con le Amministrazioni e studiare la realizzazione di un impianto pilota per il riciclo di questi materiali”.
Per valutare l’entità del beach litter, i tecnici di Goletta Verde di Legambiente hanno eseguito campionamenti in due spiagge del litorale tirrenico: la spiaggia di Coccia di Morto in provincia di Roma e la spiaggia della Feniglia (nell’immagine di apertura) in provincia di Grosseto. Sul totale dei rifiuti presenti, la percentuale di plastica è risultata in entrambi i casi superiore al 90%, dato leggermente più alto della media nazionale, che è dell’80%. I campioni raccolti – affermano i ricercatori – rispecchiano le specificità delle due spiagge, che hanno caratteristiche differenti per tipologia, flusso di bagnanti, vicinanza ad insediamenti urbani/industriali, facilità di accesso. Nonostante ciò gli oggetti più presenti sono gli stessi rinvenuti nel resto delle spiagge italiane, come i cotton fioc e i “frammenti”, residui di materiali degradati dall’effetto della fotodegradazione e degli agenti atmosferici, non più identificabili univocamente. Il polipropilene (PP) e il polietilene (PE) sono i polimeri plastici maggiormente presenti in entrambe le spiagge ed insieme costituiscono rispettivamente il 79% (Coccia di morto) e il 66% del totale (Feniglia).
“Quelli che erano i punti di forza delle plastiche, leggerezza, durabilità e costi contenuti, oggi rappresentano il limite di questi materiali che permangono nell’ambiente per decenni prima che si degradino – ha commentato Loris Pietrelli, ricercatore dell’ENEA – . Comunque è importante ricordare che non si può demonizzare la plastica perché con questo termine si identificano centinaia di materiali polimerici, con caratteristiche molto diverse, di cui non possiamo più fare a meno. Il risultato principale di questa prima ricerca riguarda la composizione dei materiali raccolti. La netta prevalenza di materiali termoplastici quali polietilene e polipropilene, facilita il recupero ed il riutilizzo del materiale spiaggiato”.
“È necessario ricordare che le plastiche arrivano da terra e quindi sono il risultato di una cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani – ha aggiunto Pietrelli -. Ad esempio, l’enorme quantità di cotton fioc rinvenuta lungo le spiagge rappresenta un caso emblematico soprattutto se si pensa che nei primi anni del 2000 la commercializzazione dei bastoncelli non biodegradabili era vietata”.
“Questo studio – è il commento di Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – rappresenta una prima importante collaborazione tra istituti di ricerca, associazioni e imprese per affrontare il problema del marine litter. Un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti come ha dimostrato anche la Conferenza mondiale sugli Oceani organizzata dall’Onu a cui abbiamo partecipato, raccontando la nostra esperienza di monitoraggi scientifici considerata come una delle esperienze più avanzate al mondo della citizen science. Purtroppo, la cattiva gestione dei rifiuti e l’abbandono consapevole restano le principali cause del fenomeno. Al tempo stesso i dati evidenziano come buona parte di questi rifiuti potrebbero essere riciclati. I risultati, sebbene preliminari, mostrano dati incoraggianti circa la qualità del blend ottenuto mescolando i rifiuti spiaggiati. Una novità assoluta che dimostra come sia fondamentale sia prevenire il problema attuando campagne di sensibilizzazione, sia lavorando sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’avvio di una filiera virtuosa del riciclo”.